Sostenibilità

Uno stop dal governo. L’oleodotto che sfida la foresta

Ecuador. Una vittoria ecologista. Un progetto da 1.300 milioni di dollari. Con tutti i big del petrolio schierati, Eni compresa (di Enzo Vitalesta).

di Redazione

Tutti i giorni a mezzogiorno piove sul Pachamama. Così a Mindo chiamano la Madre Terra. E quando in paese cala la notte, arrivano ?los gansos?, i paperi. Così a Mindo chiamano i lavoratori dell?Oleoducto de crudo pesados. Nella zona vi lavorano circa in 500. Coi loro caschi e stivali gialli, la sera scendono dalle montagne dopo dieci ore di lavoro nei boschi a tagliare alberi e spianare la strada al tubo. I ruskin li aspettano ai caffè cadenti del paese: quelli che a Mindo difendono il bosco si chiamano così tra loro, ?ruskin?. E le risse tra gansos e ruskin sono continue, come lo scorrere dei cinque fiumi che tagliano Mindo come un?isola.
Mindo sta in mezzo alle Ande, proprio sulla linea dell?equatore, a sole due ore a ovest di Quito. Un mondo ricco di foreste e boschi primordiali, 200mila ettari di piante, orchidee e uccelli di una rarità preziosa per l?intero pianeta. Mindo è considerato dall?Unesco patrimonio dell?umanità per le numerose biodiversità che lo popolano. E in questo delicato ecosistema gli stessi mindenos, 3mila persone, di cui 700 bambini, sono una specie a rischio. Mindo vive di ecoturismo, di rafting sui fiumi, di birdwatching.

Dieci ore, quattro dollari
Ma anche i lavoratori dell?oleodotto sono ecuadoriani. E per dieci ore nei boschi a maneggiare ruspe e tagliare alberi, prendono quattro dollari e mezzo. In un anno, qui sono morte 16 persone e altrettante sono rimaste ferite per incidenti sul lavoro. A conti fatti gansos e ruskin sono solo ecuadoriani che lottano per tirare avanti e mantenere le loro famiglie. “Il consorzio dell?Ocp di ecuadoriano ha invece solo parte della manodopera”, protesta Cesar Fiallo, presidente dell?associazione ecologista di Mindo, Acciòn por la vida, “le multinazionali che lo compongono sono i veri padroni. Per loro la nostra disperazione è solo un piccolo costo che si aggiunge al progetto”.
Cesar Fiallo, insieme al fratello Carlos, ha comprato parte del bosco su cui passa Ocp. “Il consorzio ha disboscato chilometri di Esperanza”, così hanno chiamato il loro bosco, “senza nessuna notifica di esproprio e senza acquistare o accordarsi con i proprietari”. Lo scorso novembre i fratelli Fiallo, un attivista di Acciòn por la vida e Giuseppe de Marzo dei Verdi italiani sono entrati di notte nel bosco di Mindo travestiti da lavoratori dell?Ocp e hanno raggiunto il terreno della Esperanza. La polizia li ha arrestati e De Marzo è stato espulso dall?Ecuador dopo due giorni.
L?Oleoducto de crudo pesados è un progetto da 1.300 milioni di dollari che riunisce un consorzio di alcune tra le più grandi multinazionali del petrolio: Alberta Energy Company Ltd, Repsol- Ypf, Perez Companc, Occidental Petroleum, Techint, Kerr-McGee Corp. Anche l?Eni- Agip partecipa al progetto con il 7,5% delle azioni. La Bnl, con altre banche private, cofinanzia l?operazione per 50 milioni di dollari.
Da est a ovest il tubo taglia l?Ecuador in due. “Cinquecento chilometri di petrolio grezzo, di progresso, di sviluppo economico”, è la versione del consorzio.
Secondo i Verdi e numerose associazioni ambientaliste e ong internazionali sono invece 500 chilometri antieconomici, di vite travolte dal ?tubo?, di disastri ambientali, di diritti violati. “L?Ocp non è stato finanziato dalla Banca mondiale perché non ne rispetta i vincoli ambientali riservati alle aree considerate a rischio”, sottolinea Giuseppe De Marzo, coordinatore dell?Osservatorio verde sulla globalizzazione.
“Recentemente un?eruzione del Reventador ha danneggiato centinaia di metri di oleodotto appena costruito. Il consorzio ha deciso per una variante solo dopo il disastro. Quando scorrerà il petrolio non ci saranno prove d?appello”.

Un ministro tosto
Ma il nuovo presidente Lucio Gutierrez, entrato in carica il 15 gennaio, ha rinvigorito la speranza della lotta ecologista. Il ministro dell?Ambiente, Edgar Isch Lopez, ha dichiarato che gli accordi con il consorzio Ocp “dovranno essere rivisti”. Così a inizio febbraio è arrivata l?attesa notizia: il ministro ha fermato i lavori dell?Ocp nel tratto del bosco di Guarumos, nella zona di Mindo. Sarebbero stati riscontrati nella zona gravi danni ambientali e disboscamenti mai approvati dallo stesso ministero.
In attesa di ulteriori controlli da parte di un?apposita commissione, il ministro non ha escluso il ritiro della ?licenza ambientale? indispensabile per continuare i lavori. Anche se il portavoce delle multinazionali petrolifere, Maria de Los Angeles Mantilla, risponde che l?82% dell?oleodotto è stato terminato, e che in giugno il petrolio comincerà a scorrere nel tubo.
Enzo Vitalesta

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